Il decondizionamento è un concetto della psicologia comportamentista utilizzato nella psicoterapia per affrontare problemi come le fobie e le dipendenze.
L’idea di base parte dall’associazione di sensazioni piacevoli o spiacevoli a certi comportamenti. Ad esempio, se all’assunzione di droghe o alcol si associano sensazioni fisiche o emotive piacevoli, il relativo consumo non farà che aumentare. Ecco allora l’idea di contrastare e rimuovere le associazioni piacevoli legate a comportamenti che la ragione ci fa ritenere comunque oggettivamente negativi, per ritrovare l’unicità della propria identità e autonomia.
Oggi, i maggiori condizionamenti sociali derivano dalla televisione che come strumento di trasmissione delle informazioni presenta caratteristiche uniche che la rendono particolarmente idonea alla rimodulazione delle convinzioni e degli stili di vita individuali.
E’ un mezzo a forte impatto, perché in grado di mandare potenti messaggi contemporaneamente sia alla vista che all’udito, caratteristica sconosciuta agli strumenti tecnici antecedenti come la radio o la carta stampata.
E’ anche un mezzo unidirezionale, perché la gestione e la selezione delle informazioni trasmesse è di esclusiva competenza dell’emittente, mentre i destinatari dell’informazioni, i telespettatori, le possono ricevere pigramente in modo assolutamente passivo.
E’ un mezzo che richiede una notevole organizzazione infrastrutturale ed economica e puo’ quindi essere usato solo da pochi gruppi d’individui che inevitabilmente selezioneranno e gestiranno le informazioni in base ad una serie di criteri funzionali al proprio interesse economico, politico, sociale.
Rispetto all’informazione su Internet, l’informazione televisiva è autoritaria senza essere autorevole. Benché si possa scegliere di cambiare canale, ci si trova sempre davanti agli stessi meccanismi: è l’emittente che detta le regole non solo sui contenuti scelti ed i modi della loro presentazione, ma anche sulla velocità della trasmissione delle informazioni, l’alternanza tra immagini, i suoni e le musiche, la continuità del messaggio e le informazioni pubblicitarie, fino a creare quella tirannia dell’attenzione che ci fa innervosire se ci sfugge una sola parola o se in un dibattito le voci si sovrappongono perché sappiamo che di regola non potremo riascoltare e rivedere quello che ci siamo persi.
Un abisso di differenze rispetto ad Internet, dove non soltanto possiamo fermare un filmato per fare una pausa, ma anche tornare indietro, rivedere, riascoltare, scegliere i tempi ed i modi dell’informazione, lasciare commenti, esprimere osservazioni o produrre noi in prima persona informazioni a cui tutti potranno accedere e che tutti potranno eventualmente criticare e confutare.
Nell’informazione, la televisione sta a Internet, come in politica la dittatura sta alla democrazia. E’ la differenza sostanziale da informazione imposta e comunicazione tra eguali.
Ovviamente, la televisione opera secondo criteri imprenditoriali: l’obiettivo è sempre suscitare l’attenzione ed incrementare il numero degli spettatori. Per farlo, occorre puntare su cio’ che è straordinario: l’ordinario, la normalità notoriamente non fanno notizia.
L’informazione televisiva è quindi estremista, geneticamente squilibrata. Ovunque non sembrano esserci che guerre ed omicidi, crisi e criminalità, emergenze e scandali, litigi e miracoli.
La televisione deve sedurre, e lo fa attraverso una rigorosa scelta estetica dei suoi protagonisti: giovani, belli, attraenti. In televisione, se si esclude qualche fatto di cronaca e i personaggi politici, è impossibile vedere una donna che non appaia bella e seducente, quasi sempre artificiosamente, grazie a dosi malsane di chirurgia estetica e trucco.
L’informazione televisiva è quindi patologicamente esibizionista.
C’è poi la costruzione artificiosa della notorietà. E’ un trionfo di “personaggi”, resi celebri dalla televisione per la televisione, famosi e quindi importanti, indipendentemente da quel che fanno o sanno fare. Per il solo fatto di apparire ed essere riconoscibili. Ecco, si dirà, l’ho visto in televisione.
Queste caratteristiche rendono la televisione una fabbrica di ansie. Se senza televisione i nostri occhi si possono imbattere mediamente nell’arco della nostra vita, al massimo in una manciata di episodi criminosi per lo piu’ di lieve entità, attraverso la televisione vediamo ogni giorno i crimini di tutto il mondo, con gli occhi di miliardi di donne e uomini, e finiamo col chiederci se il vicino di casa non sia anche lui un pedofilo o un assassino.
La realtà imposta dall’informazione televisiva è una realtà distorta che moltiplica le nostre paure, ma anche i nostri desideri, e fa impennare il nostro pessimismo e la nostra sfiducia in noi stessi e nel prossimo.
Come telespettatori, non solo siamo schiavi di un’informazione imposta, ma destinatari di continui tentativi d’imposizione di valori, regole morali, scelte di consumo. Senza possibilità di opporci o protestare, ma con l’unica scelta di eventualmente staccare la spina e spegnere il televisore.
Decondizionarsi dalla televisione, spegnere il televisore e magari liberarsene. E’ un passo difficile, come smettere di fumare, ma puo’ cambiare la nostra visione del mondo, le nostre idee politiche, depurare i nostri desideri e liberarci da mille paure. E magari aiutarci a riprenderci ogni giorno qualche ora di vita attiva in piu’ senza farci rimbecillire dalle sciocchezze di tante inutili trasmissioni.