Categoria: Psicologia

  • Rita De Crescenzo e la Cultura del Trash: Un’Analisi Psicologica e Antropologica del Fenomeno Mediatico Contemporaneo

    Introduzione

    Negli ultimi anni, il panorama mediatico italiano ha visto l’ascesa di numerose figure che incarnano la cosiddetta “cultura del trash”. Tra queste, una delle più emblematiche è Rita De Crescenzo, tiktoker e cantante neomelodica napoletana, il cui successo virale ha suscitato un ampio dibattito sull’impatto dei social media sulla cultura popolare. Il termine “trash” è spesso utilizzato in modo dispregiativo per indicare prodotti ritenuti di bassa qualità o di scarso valore culturale; tuttavia, la crescente visibilità di personaggi come De Crescenzo porta alla luce dinamiche culturali e sociali molto più complesse di quanto il semplice termine “spazzatura” possa suggerire.

    Questo saggio si propone di analizzare approfonditamente, attraverso una lente interdisciplinare, il fenomeno De Crescenzo e la cosiddetta “cultura del trash”. Integreremo prospettive provenienti dalla psicologia sociale, dall’antropologia culturale e dalla sociologia, con l’obiettivo di comprendere non solo le ragioni dell’esplosione di popolarità di certe figure mediatiche, ma anche le loro funzioni sociali e psicologiche. Saranno inoltre evidenziati i meccanismi di identificazione, di costruzione dell’identità di gruppo e di legittimazione simbolica che concorrono al successo di tali fenomeni.

    A livello accademico, la cultura “alta” e la cultura “bassa” sono state spesso contrapposte, e molti studiosi – da Pierre Bourdieu (1984) a Stuart Hall (1973) – hanno messo in luce come queste categorie siano in parte costruite socialmente, funzionali cioè a determinati rapporti di potere. In questa prospettiva, il “trash” non va inteso come un’anomalia marginale, bensì come un’espressione culturale che risponde a bisogni specifici di un certo pubblico. Nel caso di Rita De Crescenzo, la sua appartenenza al contesto napoletano, la sua estetica “eccessiva” e la sua performance spettacolare sollevano interrogativi su come una parte della popolazione – specialmente quella legata a contesti socioeconomici di periferia – possa trovare in lei un simbolo di auto-rappresentazione e di riscatto, seppure in forme spesso percepite come “grottesche” da chi possiede un diverso capitale culturale.

    Nel corso di questo saggio, ogni paragrafo approfondirà un aspetto cardine: partiremo dall’analisi antropologica del “trash” nel contesto napoletano, per poi esplorare le dinamiche di identificazione sociale e i bisogni psicologici collettivi che si soddisfano attraverso la fruizione di contenuti ritenuti “trash”. In seguito, esamineremo come il trash possa fungere da catarsi e da intrattenimento psicologico, e come si intrecci con i meccanismi di distinzione culturale. Infine, proporremo una riflessione critica su ciò che rappresenta davvero “degrado” culturale e su ciò che, al contrario, può essere considerato un’espressione legittima di cultura popolare. Approfondiremo inoltre la questione della “presunta superiorità” di chi condanna il trash, sondando i possibili pregiudizi di classe e i processi di stigmatizzazione.

    La speranza è che questa analisi, ben più lunga e dettagliata di un breve articolo di opinione, possa fornire strumenti critici sia per chi condanna sia per chi difende il fenomeno De Crescenzo, contribuendo a una discussione più informata e approfondita su ciò che oggi definiamo “cultura popolare” e “trash”.

    1. Il Trash come Fenomeno Antropologico: Il Contesto Socioculturale di Rita De Crescenzo

    1.1 Definizione di Trash e Origini del Termine
    Il termine “trash” ha avuto storicamente un connotato fortemente negativo, venendo utilizzato per descrivere opere e prodotti ritenuti di scarso valore artistico o privi di contenuto edificante. Tuttavia, a partire dagli anni ’80 e ’90, i cultural studies hanno iniziato a interrogarsi sui fenomeni popolari considerati “bassi”, attribuendo loro dignità d’analisi. In particolare, gli studi di Angela McRobbie (1991) sulla cultura pop e quelli di John Storey (2015) sui prodotti culturali di massa hanno evidenziato come ciò che viene etichettato come “trash” possa essere in realtà portatore di significati sociali, di messaggi di protesta, o di meccanismi di identificazione collettiva.

    1.2 Contesto Napoletano: Teatralità Popolare e Ironia Dissacrante
    Napoli costituisce un caso particolarmente interessante per comprendere il trash come fenomeno antropologico. Nella cultura napoletana, la teatralità popolare ha radici profonde. Lo vediamo nella tradizione della commedia dell’arte, nelle opere di Eduardo De Filippo e ancor prima nella cultura vernacolare; si tratta di una teatralità che fa parte della quotidianità, permeando il modo di parlare, di gesticolare e di raccontarsi al mondo. Come sottolinea l’antropologo Marino Niola (2007), Napoli è una città in cui la vita quotidiana si mescola alla performance, generando una costante enfasi sul registro emotivo. Questo registro si esprime attraverso un linguaggio colorito e “teatrale”, nel quale l’eccesso diventa una forma di affermazione di sé e di resistenza alle strutture di potere.

    Nel caso di Rita De Crescenzo, la sua provenienza da un contesto popolare napoletano si riflette nello stile comunicativo sopra le righe, che combina ironia dissacrante, autocelebrazione e riferimenti continui al contesto di quartiere. Da un punto di vista antropologico, ciò può essere letto come una rivendicazione di identità: nell’esaltare le proprie origini, De Crescenzo mette in scena un microcosmo culturale che ha bisogno di visibilità, sfidando così i canoni di ciò che è considerato “accettabile” secondo la cultura dominante.

    1.3 Trash e Cultura Dominata
    Seguendo l’approccio di Pierre Bourdieu (1984) sulla “distinzione culturale”, il trash potrebbe rappresentare una forma di “cultura dominata” che cerca di emergere dai margini. Bourdieu sostiene che la società sia stratificata non soltanto economicamente, ma anche culturalmente: chi possiede un maggior “capitale culturale” (istruzione, familiarità con codici artistici legittimati, ecc.) tende a imporre i propri gusti come standard di legittimità, relegando altre forme espressive a uno stato di inferiorità. In questa logica, il trash di Rita De Crescenzo – con i suoi video musicali neomelodici, i contenuti esuberanti sui social e l’estetica definita “eccessiva” – funge da contropotere simbolico, un modo per riaffermare il diritto all’esistenza e alla visibilità di una comunità che non rientra nei canoni dell’“alta cultura”.

    1.4 Trash come Narrazione Comunitaria
    L’antropologo Clifford Geertz (1973) ha definito la cultura come un sistema di simboli condivisi che conferiscono senso all’esperienza umana. In questa prospettiva, un fenomeno come De Crescenzo diventa un veicolo di narrazione comunitaria: l’artista – o l’influencer, per usare un termine odierno – dà voce a un vissuto collettivo, a storie di periferia, di precarietà, di orgoglio identitario. Il “trash” si trasforma così in uno spazio discorsivo in cui il gruppo si riconosce e trova forme di legittimazione, in un Paese – l’Italia – che spesso oppone un Nord “sviluppato” a un Sud “arretrato”.

    1.5 La Funzione Sociale del Grottesco e dell’Eccesso
    La cifra stilistica del trash, che si esprime in forme grottesche ed eccessive, non è casuale. Già Michail Bachtin (1965) ha osservato come il carnevalesco e il grottesco, nell’arte popolare, rappresentino momenti di ribaltamento simbolico dell’ordine costituito, creando uno spazio di liberazione e di critica sociale, seppure in forma mascherata o ironica. A Napoli, l’uso dell’eccesso e dell’ironia può essere inteso come strumento di denuncia e di resistenza, sebbene spesso venga letto, dall’esterno, come un segno di volgarità fine a se stessa. Rita De Crescenzo, in tal senso, incarna appieno la tradizione dell’ironia dissacrante e della teatralità come armi culturali.

    2. La Psicologia della Popolarità: Bisogni Sociali e Identificazione

    2.1 Teorie dell’Identificazione Sociale
    Dal punto di vista della psicologia sociale, il successo di personaggi come Rita De Crescenzo può essere interpretato attraverso le teorie dell’identificazione sociale di Henri Tajfel e John Turner (1979; 1986). Queste teorie sostengono che gli individui cerchino di appartenere a gruppi che conferiscono loro un senso di identità positiva: si tende a favorire il proprio ingroup e a differenziarsi dagli outgroup. Nel caso di De Crescenzo, il “suo” gruppo potrebbe essere costituito da coloro che condividono determinate esperienze socioeconomiche e culturali, in particolare legate all’ambiente popolare napoletano e alla cultura neomelodica. Chi si sente parte di questo mondo tende a vedere nell’artista un simbolo di riscatto, mentre chi ne è estraneo potrebbe denigrarne i contenuti come “trash”.

    2.2 Dinamiche Parasociali
    Un altro elemento chiave per comprendere la popolarità di figure come De Crescenzo è il concetto di “relazione parasociale” (Horton & Wohl, 1956). Le relazioni parasociali descrivono il legame illusorio che gli spettatori sviluppano con personaggi mediatici, come se li conoscessero personalmente. Sui social media, queste dinamiche si intensificano: la possibilità di commentare e ricevere risposte (o anche solo reazioni) dall’“idolo” di riferimento crea una vicinanza emotiva ancora maggiore. Nel caso di De Crescenzo, la sua presenza costante su TikTok e la tendenza a interagire con il pubblico, ringraziandolo o coinvolgendolo nei suoi momenti di vita quotidiana, genera una forte sensazione di “famigliarità”. Ciò permette ai follower di sentirsi parte del suo successo, come se esistesse un rapporto personale e diretto.

    2.3 Bisogno di Appartenenza e Riconoscimento
    Abraham Maslow (1954), nella sua celebre gerarchia dei bisogni, evidenzia come l’appartenenza sociale e il riconoscimento siano dimensioni fondamentali del benessere psicologico. In una società frammentata e caratterizzata da incertezze economiche e identitarie, la presenza di figure come Rita De Crescenzo può offrire un punto di aggregazione e un senso di comunità. Chi si riconosce nel suo linguaggio, nei suoi riferimenti culturali e nelle sue esperienze di vita, può trovare nella sua popolarità un modo per affermare la propria identità, per legittimarla e per opporsi a una narrazione mediatica nazionale che spesso riduce le periferie a semplici luoghi di criminalità o di degrado.

    2.4 La Micro-Celebrità e l’Economia dell’Attenzione
    Marwick e boyd (2011) hanno sviluppato il concetto di “micro-celebrità” per descrivere il modo in cui, con l’avvento dei social media, è possibile raggiungere la fama a partire da contesti ristretti. Non è più necessario passare per i canali tradizionali, come la televisione o la radio nazionali; è sufficiente avere un numero di follower e di engagement abbastanza alto su una piattaforma digitale per diventare una celebrità locale o di nicchia. Rita De Crescenzo si inserisce perfettamente in questo scenario: il suo successo è veicolato dalla viralità dei contenuti, e i social le permettono di monetizzare l’attenzione che riceve.

    A questo si aggiunge il concetto di “economia dell’attenzione” (Davenport & Beck, 2001; Citton, 2017), secondo cui la risorsa più importante in un’epoca di overload informativo non è più il denaro, bensì l’attenzione del pubblico. Essere “trash” o adottare un’estetica provocatoria diventa, in tal senso, una strategia per catturare e mantenere l’attenzione. Nel sistema dei social media, ogni “visualizzazione”, ogni “mi piace” e ogni “commento” rappresenta una frazione di attenzione che può essere convertita in visibilità e, in ultima analisi, in potere simbolico ed economico.

    2.5 Identificazione e Contrasto
    La popolarità di De Crescenzo, come quella di molti personaggi trash, si nutre spesso di sentimenti polarizzati: c’è chi la ama e c’è chi la detesta. Questa polarizzazione rafforza il suo status mediatico, perché la rende un argomento di discussione, sia in termini di lode sia in termini di critica. Questo meccanismo è stato definito “polarizzazione affettiva”: nell’economia dell’attenzione, anche l’indignazione e la critica possono paradossalmente alimentare la fama di una persona, dal momento che ogni interazione, anche negativa, contribuisce a far salire l’algoritmo di visibilità (Marwick, 2013).

    3. Il Trash come Forma di Catarsi e Intrattenimento Psicologico

    3.1 Funzione Catartica del Trash
    Dalle teorie classiche sul teatro greco (Aristotele) fino agli studi contemporanei di psicoanalisi e antropologia, la catarsi è stata interpretata come una liberazione emotiva che l’individuo o la comunità sperimenta attraverso una rappresentazione simbolica di passioni e conflitti. Nel contesto odierno, il “trash” può svolgere una funzione analoga: la messa in scena dell’eccesso, della volgarità e dello “scandalo” permette agli spettatori di sfogare emozioni represse. Come nelle “feste di inversione” descritte da Victor Turner (1969), in cui le gerarchie sociali e le norme morali vengono temporaneamente rovesciate, i contenuti trash consentono di “giocare” con ciò che normalmente è vietato o condannato, creando uno spazio di trasgressione simbolica.

    3.2 Trash e Sublimazione
    Nella prospettiva psicoanalitica, Sigmund Freud (1910) introduce il concetto di “sublimazione” come il processo attraverso cui pulsioni di natura sessuale o aggressiva vengono canalizzate in attività socialmente accettabili. Il trash, sebbene non sembri affatto “accettabile” per molti, può funzionare come una sorta di sublimazione alla rovescia: esso rende visibile, in modo esagerato, ciò che la società tende a reprimere. Guardare un video di De Crescenzo in cui tutto è colorato, rumoroso, sovraccarico di gesti e di parole “fuori luogo” può essere, per molti, una momentanea concessione all’eccesso che nella vita quotidiana è inibito. Anche chi si ritiene “culturalmente elevato” può provare un piacere ambiguo nel guardare contenuti trash, sperimentando il fascino della trasgressione entro limiti “sicuri” – quelli dello schermo.

    3.3 Intrattenimento e Riduzione dello Stress
    Lo psicologo sociale Dolf Zillmann (1988) ha approfondito il concetto di “mood management”, ovvero il modo in cui le persone selezionano i contenuti mediatici in base ai propri stati d’animo. Se una persona è annoiata o stressata, può decidere di guardare un contenuto che la distragga o la faccia ridere. Il trash, con i suoi elementi grotteschi e la sua comicità involontaria (o voluta), è spesso un efficace generatore di intrattenimento spensierato. Molti spettatori seguono De Crescenzo non perché la considerino un modello da emulare, ma per ridere, per abbassare la tensione e per concedersi un momento di leggerezza. In questo senso, il trash diventa un “consumo ricreativo” che ha un valore psicologico distensivo.

    3.4 Il Ruolo del Grottesco come Liberazione Emotiva
    Come già accennato, la cultura napoletana ha una lunga tradizione di rappresentazioni grottesche e carnevalesche, che si collegano alla teoria del “carnevale” di Michail Bachtin (1965). Nell’ottica bachtiniana, il grottesco è una forma di sovversione temporanea dell’ordine, un modo per rappresentare il corpo e la società in modo irriverente e iperbolico. Questo può spiegare perché, storicamente, Napoli abbia prodotto forme di arte popolare così vibranti e “fuori dagli schemi” e perché personaggi come De Crescenzo possano trovare terreno fertile. La sua gestualità, i suoi video musicali, l’accento marcato, la ripetizione di slogan e di frasi a effetto rientrano in un repertorio di eccessi che intrattiene e al contempo disturba, creando una reazione emotiva intensa.

    3.5 Il Trash come Esperienza Comunitaria
    Infine, non va trascurata la dimensione collettiva di questa forma di intrattenimento. Sui social, il trash genera spesso fenomeni di “watch party” virtuali, in cui migliaia di persone commentano in tempo reale i contenuti, scambiandosi battute e reazioni. Questo crea un senso di comunità virtuale che può essere temporaneo ma intenso. Gli psicologi sociali che si occupano di comportamenti di gruppo online (Baym, 2015) hanno sottolineato come la condivisione di un “oggetto di divertimento” – in questo caso il trash – possa rafforzare la coesione interna di un gruppo, anche se il gruppo stesso si definisce come “superiore” o “distante” rispetto all’oggetto di divertimento.

    4. La Presunta Superiorità di chi Condanna il Trash: Questioni di Distinzione Culturale ed Elitismo

    4.1 Origine di un Pregiudizio
    Spesso, quando si parla di trash, si innesca immediatamente una reazione di superiorità da parte di chi si considera appartenente a una sfera culturale più “nobile”. Ma su quali basi si fonda questa presunta superiorità? Come notato da Bourdieu (1984), la distinzione tra cultura alta e cultura bassa non è qualcosa di “naturale”, ma il risultato di un processo sociale che stabilisce quali prodotti culturali siano degni di apprezzamento e quali no. Chi possiede titoli di studio elevati, chi frequenta teatri e gallerie d’arte, chi è in grado di apprezzare opere letterarie complesse, spesso tende a bollare come “spazzatura” ciò che non rientra nei propri orizzonti di gusto. In questo senso, condannare fenomeni come Rita De Crescenzo diventa un modo per riaffermare il proprio status di classe e il proprio dominio simbolico.

    4.2 Il Ruolo delle Istituzioni Culturali
    Le istituzioni culturali, come musei, università e centri di produzione artistica, spesso consolidano queste gerarchie di valore. Sebbene negli ultimi decenni ci sia stata una maggiore apertura verso la cultura pop (basti pensare agli studi di sociologia e comunicazione che analizzano le serie televisive, la musica pop e i social media), permangono resistenze quando si arriva a forme di espressione considerate “estreme”, come il trash. In Italia, poi, c’è una tradizione intellettuale, ereditata in parte dalla cultura umanistica, che attribuisce grande importanza al “bello” secondo criteri classici, rendendo ancora più netto il confine con ciò che è visto come esteticamente “sgradevole”.

    4.3 Effetto di Stigmatizzazione
    La condanna del trash produce uno stigma sociale non solo verso i prodotti culturali considerati di bassa lega, ma anche verso le persone che li creano e li fruiscono. Nel caso di Rita De Crescenzo, la stigmatizzazione è doppia: da un lato perché i suoi contenuti sono etichettati come “volgari”, dall’altro perché proviene da un contesto socioeconomico e geografico (la periferia napoletana) che in Italia porta con sé stereotipi negativi. Ciò alimenta un circolo vizioso: più un certo gruppo sociale è svantaggiato, meno ha accesso a forme di cultura “legittime” e più viene accusato di non possedere gusto o di produrre “spazzatura”. Si crea così una frattura sociale profonda, difficile da ricomporre.

    4.4 Distinzione e Rafforzamento dell’Identità Elitaria
    Secondo l’analisi di Bourdieu, la distinzione culturale è anche un modo per rafforzare l’identità di chi “condanna”. Ritroviamo qui un fenomeno speculare a quello dell’identificazione sociale di cui parlano Tajfel e Turner (1979): chi si schiera contro il trash costruisce un proprio ingroup di “colti” o “raffinati” contrapposto a un outgroup di “volgari” o “ignoranti”. Condannare pubblicamente Rita De Crescenzo – magari sui social, con frasi cariche di disprezzo – diventa un modo per segnalare la propria appartenenza a un’élite culturale. In un’era di iperconnessione, la presa di posizione online si traduce immediatamente in visibilità e può fornire un ritorno simbolico sotto forma di like, commenti di approvazione e rafforzamento della propria reputazione intellettuale.

    4.5 Oltre la Condanna: Uno Sguardo Critico e Inclusivo
    Tuttavia, c’è anche chi, pur non apprezzando il trash in termini estetici, cerca di adottare uno sguardo critico più inclusivo. Storici dell’arte, sociologi e antropologi interessati alle culture subalterne sottolineano come la condanna morale del trash sia spesso un esercizio di potere. Quando si chiede, ad esempio, se Rita De Crescenzo stia veicolando un messaggio culturale “degradante”, sarebbe opportuno domandarsi: degradante per chi? E secondo quali parametri di giudizio? Come notano Gramsci (1975) e Hall (1973), la cultura popolare deve essere analizzata nel contesto delle relazioni di classe e di potere, senza scadere in semplificazioni moralistiche.

    5. La Dimensione Sociologica: Napoli, Periferie e il Riscatto Simbolico

    5.1 La Specificità del Territorio
    Per comprendere fino in fondo il fenomeno Rita De Crescenzo, è necessario collocarlo nel contesto di Napoli e, più in generale, delle periferie del Sud Italia. Napoli, nella rappresentazione mediatica nazionale, è spesso ridotta a stereotipi: da un lato la città dell’arte, del buon cibo, della storia millenaria, e dall’altro un luogo di degrado, illegalità e criminalità organizzata. Questi stereotipi, come evidenzia Alessandro Dal Lago (2012) nelle sue analisi sulla costruzione mediatica della devianza, creano un immaginario collettivo in cui i napoletani, specialmente quelli delle periferie, vengono visti come “cittadini di serie B”.

    5.2 Il Ruolo dei Quartieri Popolari
    Quartieri come Scampia, Secondigliano e altri, spesso associati alla criminalità, sono anche luoghi di grande vitalità culturale e sociale, dove convivono forme di solidarietà reciproca, di convivialità e di narrazione popolare. La musica neomelodica, di cui Rita De Crescenzo fa parte, nasce proprio in questi contesti come forma espressiva che parla di amori tormentati, di passionalità e di vita quotidiana al di fuori dei circuiti ufficiali. Come sottolinea la sociologa Loredana Sciolla (2012), queste forme culturali possono rappresentare un tentativo di riaffermare la propria identità contro l’egemonia di un discorso pubblico che tende a marginalizzare tali aree urbane.

    5.3 Riscatto Simbolico e Visibilità Mediatica
    Se da un lato figure come De Crescenzo sono accusate di “esaltare il degrado”, dall’altro esse possono diventare simboli di un riscatto simbolico: conquistare milioni di visualizzazioni su TikTok o migliaia di fan ai concerti neomelodici significa, anche, far sentire la propria voce e la propria presenza in un panorama mediatico nazionale che solitamente ignora la realtà delle periferie. Le persone che vivono in questi contesti possono identificarsi con la “rivincita” di chi, partendo da condizioni svantaggiate, riesce comunque a emergere, sia pure con modalità discusse.

    5.4 Effetto di Coesione e di Autostima Collettiva
    La sociologia delle periferie urbane (Wacquant, 2008) mostra come l’autostima collettiva di un quartiere o di una comunità possa migliorare se emergono figure capaci di rappresentarla positivamente o quanto meno di darle un palcoscenico nazionale. Anche se le modalità espressive di De Crescenzo possono apparire “trash” per altri contesti socioculturali, per molti abitanti dei quartieri popolari napoletani, esse costituiscono una forma di riconoscimento. Il meccanismo psicologico del “vicarious pride” (orgoglio vicario) descritto da Allport (1954) prevede che l’individuo si senta orgoglioso delle conquiste di un membro del proprio gruppo, interpretando tale successo come un riflesso della propria identità collettiva.

    5.5 I Limiti del Riscatto Simbolico
    Ovviamente, il rischio è che il successo di figure come De Crescenzo non sia accompagnato da un effettivo miglioramento delle condizioni di vita nelle periferie. Se da un lato la visibilità mediatica può accendere i riflettori su contesti abitualmente trascurati, dall’altro può anche rimanere un fuoco di paglia che non incide sulle politiche pubbliche, sulle infrastrutture e sui servizi sociali. Dunque, la sociologia critica invita a non confondere la dimensione simbolica con quella materiale: un video virale non cancella la mancanza di lavoro o il degrado urbano, ma quantomeno può contribuire a rompere il silenzio mediatico su queste realtà.

    6. La Costruzione dell’Identità e la Performance del Sé in Rete

    6.1 Identità Mediate
    Con l’avvento dei social media, l’identità non è più (solo) una questione privata, bensì una performance costante davanti a un pubblico potenzialmente globale (Goffman, 1959; boyd, 2008). Rita De Crescenzo ha costruito la propria identità pubblica esagerando alcuni tratti della personalità e dell’estetica, consapevole che, in rete, ciò che “colpisce” attira visualizzazioni. La sua identità virtuale e la sua identità offline possono sovrapporsi o divergere, ma il punto cruciale è che l’artista utilizza i social come palcoscenico, dove ogni contenuto viene recitato e costruito per stimolare una reazione.

    6.2 La Curatela del Sé
    Gli studi di Erving Goffman (1959) sulla “messa in scena” del sé hanno anticipato concetti oggi centrali nell’analisi dei social media. Goffman osservava che le persone si comportano come attori su un palcoscenico, cercando di controllare l’immagine che gli altri si fanno di loro. Nella società della rete, questa dinamica si amplifica: chiunque gestisce il proprio profilo come se fosse una piccola vetrina personale, selezionando foto, testi e video per proiettare un’immagine coerente (o volutamente incoerente) di sé stesso. De Crescenzo, consapevolmente o no, “cura” la propria immagine attraverso elementi distintivi (slogan, abbigliamento vistoso, eccessi linguistici) che la rendono immediatamente riconoscibile.

    6.3 Il Ruolo degli Algoritmi
    Non bisogna trascurare il ruolo degli algoritmi dei social media, che premiano i contenuti ad alto tasso di engagement. Studi di Matteo Pasquinelli (2014) e di Taina Bucher (2018) dimostrano come i meccanismi di raccomandazione e di ranking tendano a privilegiare contenuti che generano reazioni forti, positive o negative che siano. Ciò significa che, se un video di Rita De Crescenzo scatena indignazione (oltre che ammirazione), l’algoritmo lo mostrerà a un numero crescente di utenti, innescando un circolo virtuoso (o vizioso) di visibilità. Dunque, la performance del sé trash diviene anche una strategia adattiva in un ambiente digitale competitivo.

    6.4 L’Identità Ibrida tra Offline e Online
    L’antropologo Daniel Miller (2011) ha coniato il concetto di “social media as cultural space” per indicare come la vita online e quella offline si fondano in un’unica dimensione ibrida. Nel caso di De Crescenzo, la sua identità offline – come persona reale che vive in un certo quartiere e ha certi riferimenti culturali – si fonde con l’identità online, quella dell’artista/trash influencer. Lo spettatore, quando guarda i suoi video, ha la sensazione di entrare “a casa sua” o “nel suo quartiere”, grazie alla diretta e all’immediatezza dei contenuti. Questo crea un senso di autenticità che risulta particolarmente affascinante o irritante, a seconda dei punti di vista, ma che comunque contribuisce al successo virale dei suoi contenuti.

    6.5 Authenticity, Relatability e Fenomeno De Crescenzo
    Nella cultura digitale, l’autenticità è spesso ricercata come valore estetico e morale (Enli, 2015). Paradossalmente, essere “troppo perfetti” in rete può apparire artificiale e respingere il pubblico. Chi si mostra, invece, con difetti, dialetto marcato, imperfezioni e sbavature, può risultare più “relatable” e quindi più attraente. Rita De Crescenzo, con il suo stile “senza filtri”, incarna pienamente questo trend di autenticità ostentata. Ciò è uno dei motivi per cui molte persone si sentono “vicine” a lei: la percepiscono come genuina, non costruita a tavolino, e questo soddisfa il bisogno di connessione autentica di cui parlano vari studiosi di media digitali (Papacharissi, 2010).

    7. Rita De Crescenzo e la Cultura Neomelodica: Radici, Significati e Critiche

    7.1 Origini della Musica Neomelodica
    Per comprendere l’universo culturale di cui Rita De Crescenzo fa parte, bisogna soffermarsi sulla musica neomelodica, un genere che affonda le radici nella canzone napoletana tradizionale, ma che si è evoluto in un contesto socioeconomico ben preciso: quello delle periferie di Napoli negli anni ’80 e ’90. Questa musica, caratterizzata da testi diretti, melodie semplici e un forte senso di drammaticità sentimentale, è spesso associata a tematiche popolari come l’amore travolgente, il tradimento, le difficoltà della vita quotidiana, e in alcuni casi persino alla celebrazione di figure legate alla micro-criminalità.

    7.2 Il Legame con la Tradizione
    La cultura neomelodica non è un fenomeno isolato, ma si innesta sulla tradizione centenaria della canzone napoletana, che già da fine Ottocento affascinava artisti di tutto il mondo. Il neomelodico porta avanti alcuni stilemi (l’intensità vocale, la passionalità dei testi), ma li combina con sonorità e arrangiamenti più moderni o “commerciali”. Al contempo, i cantanti neomelodici – e De Crescenzo ne è un esempio – riflettono un approccio “diretto” al pubblico, senza troppe mediazioni. Nei concerti di piazza, la barriera tra artista e spettatore viene abbattuta, e il senso di comunità diventa palpabile, rispecchiando il forte senso di appartenenza territoriale.

    7.3 Temi di Controversia
    La musica neomelodica è stata spesso criticata per la scarsa sofisticazione musicale o per i contenuti dei testi, talvolta intrisi di maschilismo, violenza o apologia della criminalità. È importante sottolineare che non tutti i brani neomelodici presentano tali caratteristiche, ma le polemiche mediatiche si concentrano in particolare su quei cantanti che raccontano la malavita o che sembrano legittimarla. Nel caso di De Crescenzo, la sua popolarità si lega più a un’estetica generale “trash” che non alla glorificazione esplicita della criminalità. Tuttavia, le critiche si concentrano anche sull’idea che questi contenuti “facili” e “volgari” possano distrarre il pubblico dai problemi reali, abbassando il livello del discorso culturale.

    7.4 Significati Sociali e Identitari
    Per una parte del pubblico, il neomelodico e la figura di De Crescenzo rappresentano invece un’identità di quartiere, un senso di fierezza culturale che sfugge ai canoni nazionali del “bel canto”. Ascoltare musica neomelodica, andare ai concerti, seguirne gli interpreti sui social, significa creare legami di appartenenza e di solidarietà all’interno di comunità che condividono valori, riferimenti e lingue (dialetti) spesso minoritari e non valorizzati dalla cultura ufficiale. Come sottolineato da De Certeau (1980) nel suo studio sulle pratiche culturali “dal basso”, questi consumi non vanno liquidati come mera “subcultura”, ma analizzati come campi di produzione di senso e di resistenza alle narrazioni egemoniche.

    7.5 Critiche e Rappresentazioni Mediatiche
    La televisione nazionale, quando si occupa di fenomeni come quello neomelodico, tende a farlo in maniera sensazionalistica, riducendo gli artisti a macchiette o oggetti di derisione. Questo alimenta il divario tra centro e periferia, tra “cultura alta” e “cultura bassa”, e non consente una vera comprensione dei significati antropologici e sociologici del fenomeno. Al contrario, una lettura più empatica e approfondita potrebbe rivelare come la musica neomelodica sia, per molti, un canale di espressione del disagio, della rabbia, ma anche di speranza e di amore per la propria terra.

    8. Critiche, Potenzialità e Nuove Prospettive di Ricerca

    8.1 Fenomeno Effimero o Nuova Forma di Cultura Popolare?
    Una domanda che spesso emerge è se il successo di Rita De Crescenzo e di altri personaggi trash sia destinato a durare o se rappresenti l’ennesimo fenomeno effimero della società dello spettacolo. Alcuni ritengono che si tratti di una moda passeggera, legata al funzionamento degli algoritmi e dei trend temporanei sui social. Tuttavia, analizzando il contesto socioculturale che circonda De Crescenzo, emerge come la sua fama sia radicata in esigenze di riconoscimento, appartenenza e catarsi che hanno solide basi storiche e antropologiche. Pertanto, se la singola figura potrebbe scomparire dalla scena, il bisogno di espressione “dal basso” – con toni esagerati e popolari – difficilmente verrà meno.

    8.2 Possibili Evoluzioni del Trash
    Con il progredire delle piattaforme digitali, il trash stesso potrebbe assumere nuove forme. Pensiamo, ad esempio, all’uso di strumenti di intelligenza artificiale per creare contenuti sempre più personalizzati o alla realtà virtuale, che permetterà livelli di immersione ancora più forti. In questo scenario, la cultura del trash, con la sua capacità di suscitare reazioni immediate e forti, potrebbe trovare nuovi sbocchi, ampliando il proprio bacino di utenza. Gli studi di Jenkins (2006) sulla convergenza dei media suggeriscono che i consumatori diventeranno sempre più produttori di contenuti (prosumer), favorendo ulteriormente la diffusione virale di fenomeni borderline.

    8.3 Rischi di Strumentalizzazione
    Un rischio evidente è che il trash venga strumentalizzato da politici, aziende o influencer in cerca di visibilità facile. Accaparrarsi un personaggio “forte” come testimonial può rivelarsi una strategia di marketing per raggiungere un pubblico ampio e poco fidelizzato. D’altro canto, chi produce contenuti trash potrebbe trovarsi invischiato in meccanismi di sfruttamento economico e mediatico, senza un reale beneficio a lungo termine. Occorrono quindi analisi critiche che vadano oltre la superficie, per capire chi guadagna davvero da questi fenomeni di massa.

    8.4 Ripensare il Valore Culturale
    Il dibattito su cosa sia “cultura” e su cosa sia “spazzatura” non è affatto chiuso. Ogni epoca ha ridefinito i propri canoni e molte opere artistiche un tempo considerate di scarso valore sono state poi rivalutate. Se il trash di oggi sarà la “cultura popolare” di domani è una domanda aperta, ma la storia culturale ci insegna a non sottovalutare la capacità di certi prodotti di lasciare tracce significative nel tessuto sociale. È necessario, dunque, un approccio critico che sappia contestualizzare, senza semplificazioni, ciò che oggi consideriamo “di cattivo gusto”.

    8.5 Prospettive di Ricerca Accademica
    La figura di Rita De Crescenzo, proprio perché offre un caso di studio ricco di contraddizioni – popolarità, stigma, identità subalterna e potere mediatico – potrebbe costituire un interessante oggetto di ricerche accademiche interdisciplinari. Gli antropologi potrebbero condurre etnografie nelle comunità di fan, i sociologi potrebbero indagare le reti di socialità che si formano intorno ai suoi contenuti e gli psicologi potrebbero analizzare gli effetti di identificazione e di catarsi. Una prospettiva integrata, che consideri anche gli aspetti economici e politici, potrebbe fornire un quadro ancora più completo di questo affascinante e controverso fenomeno.

    Conclusioni

    Il fenomeno Rita De Crescenzo e, più in generale, la cultura del trash, si prestano a molteplici letture e interpretazioni, che attraversano campi disciplinari come la psicologia sociale, l’antropologia culturale e la sociologia. Nel corso di questo lungo saggio, abbiamo visto come il trash non sia semplicemente un prodotto culturale di scarsa qualità, ma un vero e proprio spazio simbolico in cui si intrecciano dinamiche di appartenenza, riconoscimento, riscatto e catarsi collettiva.

    1. Dimensione Antropologica: Il trash, specie in un contesto come quello napoletano, rivela radici profonde in tradizioni di teatralità, ironia dissacrante e tensione continua tra marginalità e rivendicazione identitaria. La “cultura dominata” teorizzata da Bourdieu trova qui un esempio concreto, in cui l’eccesso performativo sfida i canoni imposti dall’alta cultura.
    2. Psicologia Sociale e Identificazione: L’ascesa di Rita De Crescenzo si può leggere attraverso le lenti delle teorie dell’identificazione sociale e delle relazioni parasociali. Il bisogno di appartenenza e di riconoscimento porta molti individui a vedere in lei un simbolo positivo o perlomeno un’occasione di riscatto simbolico. Al contempo, le critiche violente che riceve rivelano i meccanismi di distinzione sociale e di stigmatizzazione verso chi non rientra in determinati standard di legittimità culturale.
    3. Catarsi e Intrattenimento: Il trash svolge una funzione catartica, liberando energie emotive represse. Come nelle feste di inversione studiate da Victor Turner, le regole e le gerarchie vengono temporaneamente sospese, offrendo un piacere legato all’eccesso e alla trasgressione simbolica. Persino l’ironia involontaria o l’apparente “cattivo gusto” possono esercitare una forte attrattiva su pubblici eterogenei.
    4. Elitismo e Distinzione: La condanna del trash spesso esprime un atteggiamento elitario che si basa su pregiudizi di classe e di capitale culturale. Definire un contenuto come “spazzatura” diventa un modo per legittimare la propria superiorità e per stigmatizzare intere fasce di popolazione che trovano in quell’estetica una forma di auto-rappresentazione.
    5. Contesto Sociologico: Le periferie napoletane – e più in generale le periferie urbane – sono luoghi di marginalizzazione, ma anche di intensa produzione culturale. Figure come De Crescenzo incarnano il desiderio di visibilità e di riconoscimento di comunità che raramente ottengono spazio nei media tradizionali.
    6. Costruzione dell’Identità Online: I social media hanno rivoluzionato le strategie di costruzione della fama, creando dinamiche di micro-celebrità e premiando contenuti capaci di generare reazioni forti. L’identità di De Crescenzo si nutre di questa logica, assumendo una forma ibrida tra persona reale e personaggio mediatico.
    7. Cultura Neomelodica: Il neomelodico, di cui De Crescenzo è esponente, ha radici storiche e sociali ben precise. Al di là delle critiche estetiche, esso rappresenta un universo di valori, di esperienze e di sentimenti condivisi, soprattutto nei contesti popolari di Napoli.
    8. Prospettive Future: Il trash non è un fenomeno destinato a scomparire, perché risponde a bisogni antropologici e psicologici profondi. Tuttavia, merita di essere analizzato con strumenti critici che vadano oltre la superficiale condanna o l’altrettanto superficiale esaltazione. È necessario un approccio interdisciplinare, in grado di cogliere le molte sfumature di un fenomeno che, nel bene e nel male, riflette le tensioni e le aspirazioni di una società in trasformazione.

    In definitiva, Rita De Crescenzo è più di un semplice personaggio virale: è il sintomo di una convergenza storica, sociale e mediatica. Da un lato, l’esigenza di emancipazione e visibilità di chi abita le periferie culturali e geografiche; dall’altro, l’iperconnessione digitale, che rende possibile un successo istantaneo e “dal basso”. Se consideriamo il trash come uno specchio della società, anziché come un semplice difetto, esso ci restituisce l’immagine di un Paese in cui le distanze culturali e sociali sono ancora profonde, ma in cui esiste – almeno teoricamente – la possibilità di ridisegnare i confini di ciò che è considerato legittimo o “di valore”.

    Sia che lo si condanni sia che lo si difenda, il fenomeno De Crescenzo solleva questioni rilevanti: su come definiamo il valore culturale, su chi abbia l’autorità di stabilire il canone estetico, su come i social media stiano ridefinendo i processi di costruzione dell’identità e della celebrità. In un’epoca in cui la popolarità è spesso la moneta di scambio più importante, capire le logiche profonde che sostengono il successo “trash” significa comprendere meglio le trasformazioni in atto nella nostra società.

    Bibliografia

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    Ps. Auguri David Gilmour.

  • Il Paradosso dell’Automazione Cognitiva: Opportunità e Rischi per la Mente Umana

    L’avanzata dell’intelligenza artificiale generativa sta ridisegnando il modo in cui affrontiamo il lavoro intellettuale. La ricerca condotta dalla Carnegie Mellon e da Microsoft mette in luce un aspetto critico di questa evoluzione: la graduale atrofizzazione del pensiero critico nei cosiddetti “lavoratori della conoscenza” (Zhang et al., 2023). Il fenomeno del “cognitive offload”, ovvero la delega progressiva delle funzioni cognitive a strumenti esterni, rischia di modificare radicalmente il ruolo della mente umana, trasformandola da protagonista attiva del pensiero a semplice supervisore di output generati da macchine (Cabitza, 2023).

    L’Illusione della Facilità e il Pericolo della Dipendenza

    Dal punto di vista psicologico, la delega del ragionamento a un’entità esterna non è un fenomeno nuovo. Ogni innovazione tecnologica porta con sé una ridefinizione delle competenze umane. Tuttavia, la questione centrale non riguarda solo la perdita di capacità cognitive, ma il cambiamento del nostro rapporto con la conoscenza. Se ci affidiamo indiscriminatamente all’AI come “autorità epistemica”, corriamo il rischio di non sviluppare più un pensiero autonomo e critico, riducendoci a validatori passivi di contenuti generati (Cabitza, 2023).

    Questo meccanismo ha implicazioni profonde sulle nostre strutture cognitive. Il pensiero critico si sviluppa attraverso la pratica e la continua esposizione a problemi da risolvere. Se l’AI si assume il compito di generare risposte, mentre il nostro ruolo si riduce a confermare o rifiutare tali risposte, stiamo erodendo la nostra “muscolatura cognitiva”. Senza l’esercizio quotidiano del giudizio e della creatività, rischiamo di trovarci impreparati quando il sistema, inevitabilmente, fallisce o non offre risposte adeguate.

    Dalla Paura alla Consapevolezza: L’Intelligenza Ibrida

    Nonostante il rischio di regressione cognitiva, la storia ci insegna che l’uomo ha sempre trovato un modo per adattarsi alle nuove tecnologie, come dimostrano le critiche antiche alla scrittura riportate da Platone nel Fedro (Platone, 370 a.C.). Il vero punto non è demonizzare l’AI, ma sviluppare una relazione consapevole con essa. In questo senso, l’approccio suggerito dal professor Federico Cabitza – un’interazione consapevole con la macchina – diventa cruciale (Cabitza, 2023).

    La soluzione non sta nel rifiutare l’innovazione, bensì nel promuovere un modello di “intelligenza ibrida” in cui l’AI resta un supporto e non un sostituto del pensiero umano. Questo richiede un’educazione mirata alla gestione dell’automazione, un rafforzamento delle competenze metacognitive e un uso strategico degli strumenti digitali per amplificare il nostro potenziale, anziché soffocarlo.

    Conclusione: Coltivare l’Umanità nell’Era dell’AI

    L’AI generativa rappresenta una delle innovazioni più potenti della nostra epoca, ma la sua adozione indiscriminata potrebbe portarci a una passività intellettuale pericolosa. La sfida che abbiamo di fronte non è solo tecnologica, ma profondamente psicologica ed educativa: come possiamo integrare questi strumenti senza perdere la nostra capacità di pensare? La risposta sta nell’equilibrio tra automazione e coscienza critica, in una relazione tra uomo e macchina basata sulla complementarità, non sulla sostituzione. L’intelligenza artificiale non deve diventare il nostro pensiero, ma il catalizzatore di una mente umana più agile, profonda e capace.

    Riferimenti

    • Zhang, X., Brown, J., & Li, Y. (2023). Cognitive Offload and AI Dependence: A Study on Knowledge Workers. Carnegie Mellon University Press.
    • Platone. (370 a.C.). Fedro.
    • Cabitza, F. (2023). Human-Machine Interaction and Epistemic Authority: Risks and Challenges. Bicocca University Press.
  • Le sei frasi più importanti di “ti amo”

    di Natasha Craig

    “Io ti amo”.

    È una delle frasi più desiderate del pianeta. Per sentirsi dire “io ti amo” da qualcuno, la gente è in grado di fare cose che ci hanno sorpreso, e di cui abbiamo sentito parlare in innumerevoli storie, pellicole e canzoni. E le cose che le persone sono in grado di fare per chi le ama sono altrettanto stupefacenti.

    Ma perché ci teniamo tanto a sentirci dire “io ti amo”? Forse è la promessa di avere un posto nel cuore di qualcuno, o la nascente consapevolezza del nuovo significato che rivesti nella vita di qualcuno. Spesso è la frase che viene pronunciata prima che una relazione compia il passo successivo, la manifestazione del fatto che qualcuno venga amato per tutte le sue peculiarità, per il suo aspetto, per il suo cuore, per ciò che è (nel bene, nel male e nell’imperfezione). La gente adora quell’idea, l’idea di essere abbastanza, l’idea d’essere il tutto di qualcuno.

    Amiamo essere amati.

    Allora perché l’amore è tanto complicato? Perché la gente che dice di amarsi si lascia? Perché finiscono i matrimoni? Perché a volte le canzoni d’amore sono tanto tristi? Perché esistono i cuori infranti? Come fa una persona che una volta era il tuo tutto a diventare un estraneo o addirittura un nemico?

    Forse perché l’amore è il male definitivo? O magari è un sentimento fugace che solo alcuni fortunati riescono a provare per sempre?

    Io credo nell’amore. Io credo nella sua forza e nel significato che ha nei rapporti umani. Ma ho anche imparato che l’amore non sempre basta a se stesso. C’è bisogno di un qualcosa di più dell’amore per far funzionare un rapporto. L’amore dà inizio a tante grandi storie, ma l’amore da solo non farà durare una relazione per sempre.

    Ci sono sei frasi che penso siano altrettanto importanti, e perfino ancor più importanti del “ti amo”. Frasi che secondo me noi tutti dovremmo sentir pronunciare da coloro a cui siamo vicini. Frasi che per noi dovrebbero essere importanti quanto una dichiarazione d’amore.

    (altro…)

  • i caratteri degli individui autodeterminati

    # conoscono bene se stessi (punti di forza e debolezza, proprie preferenze e valori)
    # valorizzano i propri punti di forza, i propri diritti, la loro responsabilità nel prendersi cura del proprio benessere
    # sono capaci di pianificare (individuano obiettivi e azioni da compiere, anticipano risultati; sono creativi e riescono a formularsi rappresentazioni anticipate delle loro azioni)
    # accettano rischi calcolati, sanno comunicare, individuano risorse e supporti, sanno negoziare, gestire conflitti e critiche, perseverare se necessario
    # sono soliti comparare i risultati attesi a quelli ottenuti, sanno imparare dalle esperienze e prevedere nuove ipotesi

  • Il pensiero terrificante

    Quando vediamo delle cose, delle persone, abbiamo una prima reazione istintiva, improvvisa, senza censure. Che inevitabilmente viene poi modulata (e il più delle volte stravolta) dalle norme, dalle buone maniere, dal rispetto dell’altro. Sarebbe davvero interessante, per me, conoscere quei pensieri primordiali che balenano all’improvviso. Puliti, intatti, senza la minima manipolazione.
    Il pensiero intimo, segreto, il dialogo interiore va oltre il “rispetto” dell’altro, va oltre le buone maniere e oltre le regole sociali che sono necessarie nelle relazioni. Il primo pensiero, quello che non viene espresso, rimane soltanto nostro.
    Ecco, forse c’è un motivo per cui rimane non-detto. Ma, credo, conoscere questi pensieri-sensazioni sarebbe frutto di risate, tante, grandi risate… perché, in definitiva, è la maniera migliore per affrontare queste realtà terrificanti.

  • Psychologist’s Creed

    Quando ti ho chiesto di ascoltarmi
    e tu hai cominciato a darmi consigli
    non hai fatto ciò che ti ho chiesto.
    Quando ti ho chiesto di ascoltarmi
    e tu hai cominciato a dirmi perché non avrei dovuto sentirmi in quel modo,
    tu hai calpestato i miei sentimenti.
    Quando ti ho chiesto di ascoltarmi
    e tu hai sentito di dover fare qualcosa per risolvere i miei problemi,
    per quanto strano possa sembrarti, hai sbagliato.
    Ascolta! Tutto ciò che chiedo è che tu ascolti:
    non parlare o fare, semplicemente ascoltami.
    I consigli costano poco, con dieci centesimi hai Dear Abby e Billy Graham insieme
    nello stesso giornale,
    e posso farlo da solo, non ho bisogno di aiuto.
    Quando fai per me cose che posso e desidero fare da solo, tu aumenti le mie paure
    e le mie debolezze.
    Ma, se accetti come un semplice dato di fatto che io provo ciò che provo,
    non importa quanto irrazionale sia, allora io posso lasciarmi convincere da te e provare
    a capire cosa c’è dietro i miei pensieri irrazionali.
    E quando questo è chiaro, la risposta è evidente e non ho bisogno di consigli.
    I sentimenti irrazionali hanno un senso quando capiamo cosa c’è dietro.
    Forse è per questo che qualche volta, con certe persone, anche la preghiera funziona,
    perché Dio è muto, non dà consigli e non cerca di stabilire gli eventi.
    Egli semplicemente ascolta e ci lascia lavorare da soli per noi stessi.
    Quindi, per piacere, stammi a sentire e semplicemente ascoltami. E se vuoi parlare
    aspetta un minuto, quando toccherà a te;
    e io ti ascolterò.

    Ascoltare, Social work with groups newsletter.

  • No black scorpion is falling upon this table

    It may turn out in the long run that my book Verbal Behavior is more important than the experimental work. I started working on it when I was in the Society of Fellows at Harvard. I had an argument with Alfred North Whitehead, the great philosopher. He said, “Well your behaviorism works except with verbal behavior. How can you explain my sitting here saying something like, ‘No black scorpion is falling upon this table’?” The next morning I got up and started to write Verbal Behavior. That was about 1934 and it was published in 1957, so it took me a good quarter of a century.

     

  • facial features and stereotypes

    Chi ha un aspetto che suggerisce un’impressione falsa non necessariamente cerca di ingannare gli altri: una mantide religiosa mimetizzata in un modo da somigliare a una foglia non mente, come non mente un uomo la cui fronte alta fa sospettare un’intelligenza maggiore di quella che ha.

    È interessante cercare di individuare la base di questi stereotipi. Presumibilmente la fronte alta viene considerata erroneamente come indice della grandezza del cervello, così come lo stereotipo secondo cui le labbra sottili denotano crudeltà si basa sull’osservazione esatta che le labbra in effetti si stringono nella collera. L’errore sta nel fatto di utilizzare l’indizio di uno stato emotivo transitorio per giudicare un tratto permanente di personalità.

    Un tale giudizio suppone che le persone dalle labbra sottili abbiano questo aspetto perché stringono continuamente le labbra per la rabbia; ma le labbra sottili possono essere un carattere ereditario permanente.

    Lo stereotipo secondo cui le labbra tumide indicherebbero sensualità nasce da un analogo errore logico: dall’osservazione esatta che le labbra si gonfiano per l’afflusso di sangue durante l’eccitazione sessuale, si ricava il giudizio sbagliato circa un tratto permanente della personalità. Anche in questo caso, la forma delle labbra può essere un carattere ereditario fissato una volta per tutte.

  • Regole per DEmotivare

    Non fornire una visione ampia sul futuro e sugli obiettivi

    Obiettivi privi di interesse e sfida, obiettivi ripetitivi

    Dimensione di equità: un sistema in cui la dimensione di ingiustizia è percepita come eccessiva

    Mancanza di riconoscimento: giudizio negativo sulla persona e non sulla performance

    Non valorizzare le differenze e scoraggiare i rapporti creativi

    Confrontarsi con problemi nuovi dando risposte vecchie

    Trionfo del fare sul pensare

    Utilizzo autorità pragmatica

    Valorizzare solo la razionalità e non l’emozione

  • Decondizionarsi dalla TV.

    Il decondizionamento è un concetto della psicologia comportamentista utilizzato nella psicoterapia per affrontare problemi come le fobie e le dipendenze.

    L’idea di base parte dall’associazione di sensazioni piacevoli o spiacevoli a certi comportamenti. Ad esempio, se all’assunzione di droghe o alcol si associano sensazioni fisiche o emotive piacevoli, il relativo consumo non farà che aumentare. Ecco allora l’idea di contrastare e rimuovere le associazioni piacevoli legate a comportamenti che la ragione ci fa ritenere comunque oggettivamente negativi, per ritrovare l’unicità della propria identità e autonomia.

    Oggi, i maggiori condizionamenti sociali derivano dalla televisione che come strumento di trasmissione delle informazioni presenta caratteristiche uniche che la rendono particolarmente idonea alla rimodulazione delle convinzioni e degli stili di vita individuali.

    E’ un mezzo a forte impatto, perché in grado di mandare potenti messaggi contemporaneamente sia alla vista che all’udito, caratteristica sconosciuta agli strumenti tecnici antecedenti come la radio o la carta stampata.
    E’ anche un mezzo unidirezionale, perché la gestione e la selezione delle informazioni trasmesse è di esclusiva competenza dell’emittente, mentre i destinatari dell’informazioni, i telespettatori, le possono ricevere pigramente in modo assolutamente passivo.
    E’ un mezzo che richiede una notevole organizzazione infrastrutturale ed economica e puo’ quindi essere usato solo da pochi gruppi d’individui che inevitabilmente selezioneranno e gestiranno le informazioni in base ad una serie di criteri funzionali al proprio interesse economico, politico, sociale.

    Rispetto all’informazione su Internet, l’informazione televisiva è autoritaria senza essere autorevole. Benché si possa scegliere di cambiare canale, ci si trova sempre davanti agli stessi meccanismi: è l’emittente che detta le regole non solo sui contenuti scelti ed i modi della loro presentazione, ma anche sulla velocità della trasmissione delle informazioni, l’alternanza tra immagini, i suoni e le musiche, la continuità del messaggio e le informazioni pubblicitarie, fino a creare quella tirannia dell’attenzione che ci fa innervosire se ci sfugge una sola parola o se in un dibattito le voci si sovrappongono perché sappiamo che di regola non potremo riascoltare e rivedere quello che ci siamo persi.

    Un abisso di differenze rispetto ad Internet, dove non soltanto possiamo fermare un filmato per fare una pausa, ma anche tornare indietro, rivedere, riascoltare, scegliere i tempi ed i modi dell’informazione, lasciare commenti, esprimere osservazioni o produrre noi in prima persona informazioni a cui tutti potranno accedere e che tutti potranno eventualmente criticare e confutare.

    Nell’informazione, la televisione sta a Internet, come in politica la dittatura sta alla democrazia. E’ la differenza sostanziale da informazione imposta e comunicazione tra eguali.

    Ovviamente, la televisione opera secondo criteri imprenditoriali: l’obiettivo è sempre suscitare l’attenzione ed incrementare il numero degli spettatori. Per farlo, occorre puntare su cio’ che è straordinario: l’ordinario, la normalità notoriamente non fanno notizia.
    L’informazione televisiva è quindi estremista, geneticamente squilibrata. Ovunque non sembrano esserci che guerre ed omicidi, crisi e criminalità, emergenze e scandali, litigi e miracoli.

    La televisione deve sedurre, e lo fa attraverso una rigorosa scelta estetica dei suoi protagonisti: giovani, belli, attraenti. In televisione, se si esclude qualche fatto di cronaca e i personaggi politici, è impossibile vedere una donna che non appaia bella e seducente, quasi sempre artificiosamente, grazie a dosi malsane di chirurgia estetica e trucco.
    L’informazione televisiva è quindi patologicamente esibizionista.

    C’è poi la costruzione artificiosa della notorietà. E’ un trionfo di “personaggi”, resi celebri dalla televisione per la televisione, famosi e quindi importanti, indipendentemente da quel che fanno o sanno fare. Per il solo fatto di apparire ed essere riconoscibili. Ecco, si dirà, l’ho visto in televisione.

    Queste caratteristiche rendono la televisione una fabbrica di ansie. Se senza televisione i nostri occhi si possono imbattere mediamente nell’arco della nostra vita, al massimo in una manciata di episodi criminosi per lo piu’ di lieve entità, attraverso la televisione vediamo ogni giorno i crimini di tutto il mondo, con gli occhi di miliardi di donne e uomini, e finiamo col chiederci se il vicino di casa non sia anche lui un pedofilo o un assassino.

    La realtà imposta dall’informazione televisiva è una realtà distorta che moltiplica le nostre paure, ma anche i nostri desideri, e fa impennare il nostro pessimismo e la nostra sfiducia in noi stessi e nel prossimo.

    Come telespettatori, non solo siamo schiavi di un’informazione imposta, ma destinatari di continui tentativi d’imposizione di valori, regole morali, scelte di consumo. Senza possibilità di opporci o protestare, ma con l’unica scelta di eventualmente staccare la spina e spegnere il televisore.

    Decondizionarsi dalla televisione, spegnere il televisore e magari liberarsene. E’ un passo difficile, come smettere di fumare, ma puo’ cambiare la nostra visione del mondo, le nostre idee politiche, depurare i nostri desideri e liberarci da mille paure. E magari aiutarci a riprenderci ogni giorno qualche ora di vita attiva in piu’ senza farci rimbecillire dalle sciocchezze di tante inutili trasmissioni.