Le classi sociali culturali sono una lente interessante attraverso cui osservare la stratificazione sociale, perché non si basano esclusivamente su reddito e patrimonio, ma su stili di vita, capitale culturale e accesso alla conoscenza. Pierre Bourdieu, uno dei sociologi più influenti su questo tema, ha descritto come il potere non si eserciti solo attraverso il denaro, ma anche attraverso il capitale culturale: istruzione, gusti, abitudini e reti sociali che determinano la posizione di un individuo nella società.
Oggi, possiamo identificare alcune classi sociali culturali emergenti:
L’élite culturale e cosmopolita
Questa classe possiede alto capitale culturale, con istruzione elevata e accesso a reti di potere intellettuale e artistico. Non sempre è la più ricca in termini economici, ma detiene un forte potere simbolico e influenza i discorsi pubblici. Tipicamente:
- Lavora in accademia, editoria, media, arte, cultura o startup tech con un’aura intellettuale.
- Ha una mentalità cosmopolita, parla più lingue, viaggia molto.
- Consuma cultura “alta” e “di nicchia” (film d’autore, libri difficili, teatro sperimentale).
- È socialmente progressista, anche se spesso scollegata dai problemi materiali delle classi più basse.
La borghesia culturale media
È la vecchia classe media intellettuale, con una formazione solida ma senza il prestigio delle élite. Professoresse, professionisti, piccoli imprenditori culturali e creativi che:
- Sono istruiti, ma lavorano spesso in settori non redditizi.
- Consumano cultura “colta” ma accessibile (serie TV di qualità, podcast divulgativi, romanzi di successo ma non commerciali).
- Sono progressisti, ma spesso con un certo snobismo verso la cultura pop.
I nuovi intellettuali precari
Un fenomeno recente è la crescita degli intellettuali precari, laureati e iper-formati che non riescono a entrare nelle classi superiori e si ritrovano in condizioni lavorative fragili (docenti sottopagati, giornalisti freelance, creativi senza stabilità).
- Hanno un capitale culturale altissimo ma nessun capitale economico.
- Sono spesso iper-specializzati ma sfruttati in lavori sottopagati.
- Si trovano in una contraddizione: culturalmente fanno parte dell’élite, economicamente stanno scivolando nel precariato.
La classe popolare con cultura “ibrida”
Non è vero che le classi popolari non hanno cultura: hanno una cultura diversa, spesso più pragmatica e basata su media e intrattenimento accessibili.
- Guarda reality show, segue influencer, ama il calcio e la musica popolare.
- Ha una cultura più orale e visuale che scritta.
- Spesso rifiuta la cultura “alta” perché percepita come elitaria e distante.
- Può avere atteggiamenti ribelli verso le classi colte, ma subisce spesso la loro influenza nei trend culturali.
La cultura algoritmica e l’infodemia digitale
Oggi emerge una nuova stratificazione culturale basata non più solo su classe e istruzione, ma su come si consuma l’informazione. Gli algoritmi digitali stanno creando nuove divisioni:
- Chi ha strumenti per decodificare il mondo e navigare l’infodemia (élite culturale e borghesia intellettuale).
- Chi è sommerso da contenuti di bassa qualità e fake news (classe popolare digitale).
- Chi è completamente disconnesso o rimane ai margini del discorso culturale.
La cultura come nuova frontiera della disuguaglianza
Oggi il capitale culturale è una moneta tanto potente quanto quella economica: chi possiede conoscenza, accesso ai network e capacità critica ha più possibilità di emergere e difendersi dal declino sociale. Ma il rischio è che si crei una bolla culturale, in cui le élite parlano solo a sé stesse, mentre il resto della popolazione vive una realtà culturale sempre più distante.
Insomma, il divario non è solo tra ricchi e poveri, ma tra chi possiede gli strumenti per interpretare il mondo e chi è lasciato ai margini della conoscenza.